DATECI IN FRETTA QUELLO CHE CI SPETTA!

DATECI IN FRETTA QUELLO CHE CI SPETTA!

Siamo giovani. Studentesse, sbandate, teppisti, migranti, writers, bulli,
indecorose, disagiati. Siamo flessibili, intermittenti, poco importa se
a "nero" o a tempo determinato. Crediamo ci sia una sola parola che ci
possa descrivere: precar*. Precaria è la nostra vita,
precario è il nostro lavoro, sempre meno definibile secondo le vecchie
categorie, sempre sospesi tra tempo libero, formazione permanente e
prestazione professionale (…)
Precari sul filo del rasoio, costretti a un’eterna competizione per
conquistare un reddito di sopravvivenza. Precaria è la nostra
formazione, perché per studiare serve tempo, e il tempo è un materiale
prezioso che oggi siamo costretti a vendere al miglior offerente. Siamo
l’oggetto preferito di tutti i media, chiunque parla di noi, e a
seconda dell’utilità ci assegnano un aggettivo diverso. Così, quando
andiamo in giro a divertirci per allontanare l’inferno che viviamo
durante la settimana, diventiamo "pericolosi ubriaconi"; quando andiamo
allo stadio, ci trasformano in "violenti e teppisti"; quando lottiamo
per i nostri diritti, diventiamo "pericolosi terroristi".

Noi siamo tutto questo. Vogliono farci pagare la crisi, aumentando lo
sfruttamento dei nostri corpi e delle nostre menti, precarizzare ancor
di più il nostro lavoro per diminuire i costi di produzione.
Controllare i nostri corpi per impedirci di condividere, alzare la
testa e incontrare una moltitudine che ha deciso dire basta. Vorrebbero
espellerci dalle strade, dagli stadi e dalle piazze, costringerci a
vivere a casa dei genitori sino a quarant’anni e farci credere che ciò
sia naturale e giusto, anzi che lo abbiamo voluto noi, inventando la
favola dei bamboccioni un po’ mammoni, un po’ nullafacenti.

Abbiamo deciso di resistere e rompere questa gabbia. Da alcuni mesi,
abbiamo ricominciato a riconquistare i nostri diritti. Abbiamo occupato
appartamenti e palazzi, vuoti e abbandonati, sperimentando forme di
vita diverse dai canoni della famiglia patriarcale, partendo da noi
stessi e dai nostri desideri. Abbiamo occupato per riprenderci un pezzo
di reddito, come risposta immediata a chi ci sfrutta costringendoci a
mille lavori precari. Non ci fermeremo, perché l’autorganizzazione
diretta dei precari e delle precarie è l’unica garanzia di cambiamento.

Vogliamo costruire uno spazio comune di movimento per difenderci meglio
da chi della nostra solitudine ha fatto la sua arma vincente. Per
impedire i soprusi di un padrone di casa che pretende prezzi
inaccessibili per una stanza, per resistere a un datore di lavoro che
ci spreme sino all’osso in cambio di briciole, senza alcuna garanzia e
senza alcuna prospettiva.

Vogliamo essere tanti per riprenderci ciò che ci spetta.

Vogliamo un reddito sociale incondizionato che garantisca una vita
dignitosa a tutt*, per non morire di lavoro, per liberare i tempi dalla
schiavitù della precarietà e affermare nuovi diritti oltre il medioevo
del lavoro salariato. Abbiamo liberato spazi per costruire luoghi di
libertà nella metropoli, per strappare alla rendita edifici e case da
restituire all’uso comune, per valorizzare la produzione culturale
indipendente, oltre e contro le "regole di mercato". Abbiamo
ridisegnato territori con i colori e i suoni della nostra passione,
della nostra rabbia, del nostro amore per la vita.

Da oggi, ci riprendiamo tutto.

UNDERS //BLOCCHI PRECARI METROPOLITANI

COLLETTIVI GIOVANILI AUTORGANIZZATI CONTRO LA PRECARIETA’

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