comunicato assemblea pubblica

 

La
felicità non si paga, si strappa!

conflitti
produzione culturale metropoli

Venerdì
13 luglio_ore 17

Incontro
pubblico con

Marco
Revelli
– storico e saggista

Marco
Bascetta
– il manifesto

Nikolaj
Heltoft
– Centro sociale Ungdomshuset (Copenaghen
)

Sergio
Bianchi
– DeriveApprodi

Marco
Messina
– mousike lab (99 posse, nous, resina)

Giovanni
Greco
– Teatro del Lido, ass. Le Sirene


Dalle
21

Mostra
«the Dreamers collection_IN RIOT WE TRUST edition»

Aperitivo
elettronico_Dj set di Aendlex


Horus*Occupato

Corso
Sempione 21_Montesacro_Roma

www.horusoccupato.noblogs.org
 

«Gli
spazi sociali sono le fabbriche del possibile, luoghi comuni

della
produzione e della circolazione del sapere, luoghi contemporanei

del
conflitto sociale, arcipelaghi metropolitani della libertà.

Non
fortini assediati, ma nodi in cui si allacciano le reti di un mondo a
venire. Non luoghi chiusi, ma esplosione di stelle che spacca la
notte di un mondo divorato dalle passioni tristi. Attraversarli è
intravedere il futuro».

5
marzo 2007, Copenaghen
. Alle prime luci dell’alba, decine
operai con i volti coperti e scortati dalla polizia iniziano i lavori
di demolizione del Centro Sociale Ungdomshuset di Copenaghen,
sgomberato quattro giorni prima. Il governo danese tenta in questo
modo di cancellare 25 anni di iniziative, di lotte di proposte
culturali della “Casa della gioventù”. Per più di
una settimana migliaia di giovani, e non, scendono in strada,
bloccano la città, occupano la sede del partito
socialdemocratico, si scontrano con la polizia. Centinaia di persone
vengono fermate e arrestate.

Un fuoco
improvviso squarcia il velo consolante della socialdemocrazia
nordeuropea. Il vecchio continente riscopre la potenza degli spazi
occupati e autogestiti, luoghi di attraversamento della nuova
composizione metropolitana, flessibile, precaria, in continua
formazione. Il fuoco non si ferma e arriva fino a Rostock, accendendo
la protesta contro il vertice abusivo del G8 e il tour europeo del
criminale di guerra G.W. Bush.

Negli
ultimi dieci anni
, sicuramente in Italia e in Europa,
l’affermazione dei movimenti globali antiliberisti è legata
strutturalmente a una sedimentazione antica, diffusa, articolata,
differente dei Centri sociali.

La
storia degli spazi occupati e autogestiti è la storia di una
ricchezza produttiva, culturale e politica che ha mutato il volto
delle città, che ha aperto nuove frontiere nei conflitti
sociali metropolitani. Conflitti che hanno messo al centro le nuove
figure precarie che vivono e attraversano questi spazi ribelli, che
lavorano nelle reti lunghe dell’economia immateriale, nei circuiti
della cultura, della comunicazione, dei servizi, dello spettacolo.
Conflitti che non rimandano a nessun futuro radioso, ma che
sperimentano ogni giorno forme di vita cooperative e autonome,
consapevoli sia della propria ricchezza sociale che dei meccanismi di
sfruttamento neoliberisti.

Dentro
questa tensione
politica e sociale è nata l’occupazione
dell’ex Horus club. L’Horus occupato è un ibrido, e tale
vogliamo che resti, man mano che i calcinacci spariscono dalla vista,
e mani esperte rimettono in sesto gli impianti elettrici e i servizi
igienici e i palchi vengono ricostruiti. Il conflitto che abbiamo
aperto con l’occupazione del 1 giugno '07 contiene dentro di sé
tre aspetti, che pensiamo vadano tenuti insieme.

E’
un conflitto
per restituire al «pubblico» uno spazio
privato che stava per essere trasformato in supermarket,
trasformandolo in «bene comune» per l'intera città
di Roma.

E’
un conflitto
per costruire un luogo di produzione culturale
indipendente, nella gestione, nelle forme organizzative, nei
contenuti prodotti e distribuiti, e che intravede nella composizione
precaria della cultura, dello spettacolo, della comunicazione e della
formazione una possibilità di costruzione di nuovi diritti e
di nuove forme di vita.

E’
un conflitto
che esprime uno spazio autonomo di movimento, che
immagina la Rete come sfida organizzativa delle nuove soggettività
metropolitane e non come forma organizzativa minore, afona, debole.
Spazio di movimento che attacca la precarietà di vita a
partire dalla riappropriazione degli spazi, dei saperi, delle
conoscenze.

Uno
spazio pubblico
autonomo al tempo della guerra globale permanente
e della crisi irreversibile della rappresentanza politica: guerra
come dispositivo generale di controllo e di comando sulla società,
sulla cooperazione, sui corpi. Sulla vita. E’ all’interno di
questo circuito che si pone, dentro il nostro tempo – dominato da
«passioni tristi», tra cui, per citarne solo alcune,
l’«etica del lavoro», le pulsioni «securitarie»
e la difesa della famiglia patriarcale – la domanda sempre aperta
attorno al nesso tra politica e cultura.

«Produzione
indipendente»
è, negli ultimi due decenni, divenuta
una denominazione diffusa a livello mondiale, che identifica
etichette discografiche, festival e case di produzione
cinematografica, teatro, case editrici, media. Il nome, da un lato è
andato sostituendo ciò che un tempo veniva definito
«underground», sottosuolo libero e ribelle della cultura
di massa, che sfugge alle convenzioni artistiche e rifiuta
l’adeguamento agli standard commerciali. Una nuova denominazione
che sta a significare il consolidarsi in forme permanenti di uno
stile produttivo che non accetta di definirsi solo come negazione dei
modelli di produzione «mainstream», ovvero non si
accontenta della orgogliosa rivendicazione del proprio carattere
marginale.

La
«produzione indipendente» è «copyleft»
per sua stessa natura o, meglio, è il correlato dal lato della
produzione di ciò che il copyleft è dal lato del
diritto di proprietà intellettuale. La libera riproduzione e
la libera circolazione di materiali audiovisi, testuali, musicali non
è pirateria, ma condizione di una produzione e di un consumo
culturale condivisi, concatenati, comuni.

L’Horus
occupato
è un ibrido, altrimenti non sarebbe nato.
L’incontro che ne ha reso possibile l’apertura agli abitanti
della metropoli è un incontro di più ricerche,
singolari e comuni.

Come
costituire forme di autorganizzazione dei precari in grado di
affermare nuovi diritti?

Come
fare la stessa cosa con i cittadini di un territorio, di un
quartiere?

Come
costruire percorsi innovativi che affrontino le questioni ineludibili
della autovalorizzazione produttiva, delle economie e del reddito,
smarcandosi dal vortice autosfruttamento-autogestione della
miseria-degenerazione mercantile?

Come
costruire «spazio pubblico» senza appiattirsi
sull’elemento formale della partecipazione, ma valorizzando il
«pensiero divergente» e la messa in discussione
dell’esistente?

Queste
sono
solo alcune delle domande che hanno dato vita all’Horus
occupato e continuano a riecheggiare e a trasformarsi in questi
giorni. In altri termini, ciò che siamo, o, meglio, ciò
che diveniamo, è reso possibile da un circuito: i movimenti
non sono solamente la «pista di decollo» delle produzioni
culturali indipendenti, e neppure l’«ambiente» entro
cui le medesime trovano vita in attesa di istituzionalizzazione ma
loro elemento costituente, che nutre la produzione culturale,
e, a sua volta, ne viene plasmato e ridefinito.

Abbiamo
liberato
uno spazio «privato» perché crediamo
che la ricchezza «di pochi» è frutto del lavoro
sociale «dei molti» che non hanno diritti.

Abbiamo
deciso di riaprire la questione degli spazi sociali proprio quando il
Comune di Roma, in sintonia con le politiche di «sicurezza»
di altre amministrazioni «democratiche», apre
un’offensiva per la riforma dall’alto, peggiorativa, della
Delibera 26 (delibera che regolava l'utilizzo sociale e culturale del
patrimonio comunale), che dieci anni fa sanciva un ciclo di lotte e
di conquiste dei centri sociali, dei comitati e delle reti
associative romane. Una norma, di fatto, mai applicata nei termini
specifici, ma che rappresentava un punto di difesa collettivo per
tutti gli spazi occupati, sia pubblici che privati.

Vogliamo
costruire
uno spazio pubblico di produzione e conflitto
metropolitano. E lo facciamo ora, dentro un percorso di autonomia
politica e di movimento, nella città del «Patto sulla
sicurezza» di Veltroni e Serra, nel paese del governo di
centrosinistra che finanzia guerre e produce precarietà.
Vogliamo continuare la lotta per trasformare la città.


La
felicità non si paga, si strappa.

7
luglio 2007
Horus_Occupato

<sinapsi
metropolitane>

Corso
Sempione 21_Montesacro_Roma

http://horusoccupato.noblogs.org

 

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